Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

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A partire dalla fede cristiana resta assodato che l’uomo non raggiunge veramente se stesso grazie a ciò che fa, bensì grazie a ciò che riceve. Egli deve attendere il dono dell’amore, e non si può accogliere l’amore se non come dono. Non lo si può ‘fare’ da soli, senza l’altro; bisogna attenderlo, permettere che ci venga dato. E non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Excursus – Strutture dell’essere-cristiano, Queriniana, Brescia 200715, pp. 256-259.

6. Il primato del ricevere e la positività cristiana

L’uomo viene redento grazie alla croce; il Crocifisso, in quanto il totalmente aperto, è la vera redenzione dell’uomo. Abbiamo già cercato, in [256] un diverso contesto, di rendere comprensibile per noi oggi quest’affermazione centrale della fede cristiana. Esaminiamola ora non nel suo contenuto, bensì nella sua struttura: essa esprime un primato del ricevere sul fare, sulle proprie prestazioni, là dove per l’uomo si tratta della realtà ultima. Qui sta forse il più profondo punto di separazione tra il ‘principio della speranza’ cristiano e la sua trasformazione marxista. Per la verità anche il principio marxista si basa su un’idea di passività, in quanto – stando a esso – il proletariato sofferente è il redentore del mondo. Ma questo travaglio del proletariato, che dovrebbe finalmente portare al cambiamento costituito dalla società senza classi, deve concretizzarsi nella forma attiva della lotta di classe. Solo in questo modo esso potrà ‘redimere’, togliendo il potere alla classe dominante e conducendo all’uguaglianza tra tutti gli uomini.

La fiducia che il definitivo c’è già e che proprio in esso è mantenuto aperto il futuro dell’uomo caratterizza tutto l’atteggiamento cristiano nei confronti della realtà: per il cristiano non può valere la posizione dell’attualismo, che si ferma alla situazione del momento e non trova mai il definitivo

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolicoCon un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 253-256.


5. Definitività e speranza

La fede cristiana afferma che in Cristo si è realizzata la salvezza degli uomini, che in lui è irrevocabilmente cominciato il futuro dell’uomo e in tal modo, pur rimanendo futuro, esso è però anche passato, parte del nostro presente. Questa affermazione include un principio “definitività”, che è di estrema importanza per la forma dell’esistenza cristiana, e anche per quella modalità di decisione che l’essere cristiani intende. Tentiamo di elaborare in maniera più adeguata quanto affermato!

Abbiamo appena constatato come Cristo sia il futuro già incominciato, lo stadio definitivo, già inaugurato, dell’essere uomo. Nel linguaggio della teologia scolastica si era espresso questo concetto dicendo che con Cristo la rivelazione sarebbe conclusa. Ciò non può ovviamente significare che ormai un determinato numero di verità è stato comunicato, per cui Dio ha preso la decisione di non aggiungere più alcuna ulteriore comunicazione.
Significa, invece, che il dialogo di Dio con l’uomo, l’abbandonarsi di Dio all’umanità ha raggiunto il suo traguardo in Gesù, l’uomo che è Dio. In questo dialogo non si è trattato e non si tratta tanto di dire qualcosa, o tante cose, quanto piuttosto di dire se stesso attraverso la parola. Sicché il suo intento non è raggiunto quando è stata comunicata la maggiore quantità possibile di nozioni, bensì quando grazie alla parola appare evidente l’amore, quando nella parola i “tu” vengono tra loro a contatto.

Cristiano è colui che ha la consapevolezza di vivere, dovunque e comunque, innanzitutto dei doni che ha ricevuto; colui che sa che la vera giustizia può stare unicamente nell’essere a sua volta un donatore, simile al mendicante che, grato per quanto ha ricevuto, ridistribuisce con generosità agli altri

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolicoCon un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 248-253.


4. La legge della sovrabbondanza

Nelle affermazioni etiche del Nuovo Testamento c’è una tensione che sembra insormontabile: tra grazia ed éthos, tra un totale senso di inutilità e un altrettanto totale sentirsi sotto pressione, tra una completa passività, tipica di chi riceve tutto gratuitamente perché non è in grado di fare nulla, e contemporaneamente un totale dover-spendersi, sino all’inaudita richiesta: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
Se, in questa eccitante polarità, si cerca però un centro unificante, ci si imbatte continuamente – soprattutto nella teologia paolina, ma anche nei primi tre vangeli – nella parola “sovrabbondanza” (perísseuma), nella quale il discorso sulla grazia e quello sulle esigenze risultano intimamente uniti, sino a convergere uno nell’altro.

Al fine di cogliere il principio guida, scegliamo quel passo centrale del discorso della montagna che rappresenta, per così dire, titolo e il contrassegno riassuntivo delle sei grandi antitesi («È stato detto agli antichi…, ma io vi dico...») nelle quali Gesù rielabora la seconda tavola della legge.
Il testo suona: «Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).
Questa affermazione significa innanzitutto che ogni giustizia umana viene reputata insufficiente. Chi potrebbe onestamente gloriarsi di aver accolto realmente e senza riserve, nel profondo della sua anima, il senso dei singoli precetti e di averli adempiuti integralmente in tutta la loro profondità, o addirittura di averli tradotti in pratica in maniera “sovrabbondante”? Nella chiesa esiste sì uno “stato di perfezione”, nel quale ci si impegna ad andar oltre ciò che viene comandato, a una sovrabbondanza. Ma coloro che vi appartengono saranno gli ultimi a [248] negare di trovarsi continuamente a fare i primi passi e colmi di insufficienze. Lo “stato di perfezione' costituisce in realtà la drammatica conferma della perenne imperfezione dell’uomo.

Il principio del "vivere per" fa sì che Dio, l’essere primo, l’alfa del mondo, si presenta ora come l'omega, come l’ultima lettera dell’alfabeto della creazione, come la creatura minima

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Excursus – Strutture dell’essere-cristiano, Queriniana, Brescia 200715, pp. 245-248


3. La legge dell’incognito

Il fatto che il “per” vada indicato come il principio determinante dell’esistenza umana e, coincidendo con il principio “amore”, diventi il luogo autentico della manifestazione del divino nel mondo, comporta un’altra conseguenza.

Fa sì che l’essere-totalmente-Altro di Dio, che l’uomo può supporre già a partire da se stesso, diventi totale alterità, radicale inconoscibilità di Dio. Significa che l’essere nascosto di Dio, ammesso dall’uomo come ovvio, assuma ora la scandalosa forma della sua tangibilità e visibilità in quanto Crocifisso. In al[245]tri termini: fa sì che Dio, l’essere primo, l’alfa del mondo, si presenti ora come l'omega, come l’ultima lettera dell’alfabeto della creazione, come la creatura minima.

Essere cristiani significa essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere gli uni per gli altri. La decisione cristiana fondamentale, l’accettazione dell’essere cristiani, significa il distacco dall’essere centrati sull’ “io” e l’aggancio all’esistenza di Gesù Cristo, che è rivolta al tutto

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolicoCon un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 242-245.


2. Il principio del ‘per’

Siccome la fede cristiana esige il singolo, ma lo vuole per il tutto e non per se stesso, nella preposizione “per” si esprime la vera e propria legge fondamentale dell’esistenza cristiana: è la logica conseguenza che scaturisce necessariamente da quanto detto finora.

Ecco perché nel principale sacramento cristiano, che costituisce il centro della liturgia cristiana, l’esistenza di Gesù Cristo viene presentata come esistenza «per i molti» - «per voi» [nota 41], come esistenza aperta, che rende possibile e crea, attraverso la comunicazione con lui, la comunicazione vicendevole fra tutti. Ecco perché, come già abbiamo visto, l’esistenza di Cristo si realizza e trova compimento come esistenza esemplare nell’apertura della croce. Ecco perché egli, preannunciando e spiegando la sua morte, può affermare: «Va[242]do, ma torno a voi» (Gv 14,28): mentre mi allontano da voi la parete della mia esistenza, che ora mi limita, viene demolita, sicché questo avvenimento costituisce il mio reale venire, in cui realizzo ciò che veramente io sono, vale a dire colui che fa entrare tutti nell’unità del suo nuovo essere, colui che non è più limite, bensì unità.

Le strutture dell'essere-cristiano: 1. Il singolo e il tutto

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715, Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 235-242


1. Il singolo e il tutto
Per noi uomini di oggi lo scandalo fondamentale dell’essere-cristiano è rappresentato innanzitutto dall’esteriorità in cui l’esperienza religiosa sembra finita. Ci scandalizza il fatto che Dio debba esser comunicato mediante apparati esteriori: tramite la chiesa, i sacramenti, il dogma, o anche solo tramite la predicazione (krygma), dietro la quale ci si ripara volentieri per attenuare lo scandalo, ma che resta egualmente qualcosa di esterno. Di fronte a tutto ciò, ci si chiede: Dio abita proprio nelle istituzioni, negli eventi o nelle parole? L’Eterno non tocca forse ciascuno di noi interiormente?

Quali sono "le strutture dell'essere-cristiano"?

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715, Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 234-235


Excursus
Le strutture dell’essere-cristiano

Prima di accingerci a esaminare le singole affermazioni cristologiche della professione di fede, che derivano dal confessare Gesù come il Cristo, sarà bene sostare ancora qualche istante.
Soffermandosi sui problemi singoli, si finisce troppo facilmente per perdere di vista l’insieme; proprio oggi constatiamo quanto necessario ci sia questo sguardo d’insieme, soprattutto quando si tenta d’intavolare il dialogo con i non credenti. Di fronte alla situazione della teologia odierna si può avere talora l’impressione che essa sia tanto felice e appagata dei suoi progressi ecumenici – degni peraltro del massimo encomio – da considerarsi ormai in grado di rimuovere vecchi cippi di confine (per poi ovviamente ripiantarli per lo più in altri posti), finendo per non prestar sufficiente attenzione ai problemi immediati degli uomini d’oggi, che spesso hanno ben poco a che fare con le tradizionali questioni controverse delle varie confessioni.
Chi è capace di dire a uno che lo chiede, in modo comprensibile ma conciso, che cosa propriamente significhi “essere cristiani”? Chi sa spiegare a un altro, in maniera comprensibile, perché egli crede, indicando quale sia la direzione chiara, il centro della decisione della fede?

Pope Benedict’s Angelus and Homilies about the Holy Trinity

Pope Benedict’s Angelus and Homilies about the Holy Trinity


God is not solitude, but perfect communion. For this reason the human person, the image of God, realizes himself or herself in love, which is a sincere gift of self.

Thanks to the Holy Spirit, who helps us understand Jesus' words and guides us to the whole truth, believers can experience, so to speak, the intimacy of God himself, discovering that he is not infinite solitude but communion of light and love, life given and received in an eternal dialogue between the Father and the Son in the Holy Spirit

We turn our gaze, so to speak, towards "the open Heavens", to enter with the eyes of faith into the depths of the mystery of God, one in substance and three in Persons: Father, Son and Holy Spirit.

In God's gift of himself in the Person of the Son the whole of the Trinity is at work. 
It is the Father who places at our disposal what is dearest to him; the Son who, consenting to the Father, empties himself of his glory in order to give himself to us; the Spirit who leaves the peace of the divine embrace to water the deserts of humanity.

The God of the Bible is not some kind of monad closed in on itself and satisfied with his own self-sufficiency but he is life that wants to communicate itself, openness, relationship.

The strongest proof that we are made in the image of the Trinity is this: love alone makes us happy because we live in a relationship, and we live to love and to be loved. Borrowing an analogy from biology, we could say that imprinted upon his "genome", the human being bears a profound mark of the Trinity, of God as Love.

This Sunday of the Most Holy Trinity, in a certain sense sums up God's revelation which was brought about through the Paschal Mysteries: Christ's death and Resurrection, his Ascension to the right hand of the Father and the outpouring of the Holy Spirit.

God did not show his face, but rather revealed his being, full of goodness, with these words: “The Lord, the Lord, a merciful and gracious God, slow to anger, abounding in steadfast love and faithfulness” (Ex 34:6). This is the Face of God. This self-definition of God expresses his merciful love: a love that triumphs over sin, covers it, eliminates it. We can always be sure of this goodness which does not abandon us. There can be no clearer revelation. We have a God who refuses to destroy sinners and wants to show his love in an even more profound and surprising way to sinners themselves, in order to always offer them the possibility of conversion and forgiveness.

God created us male and female, equal in dignity, but also with respective and complementary characteristics, so that the two might be a gift for each other, might value each other and might bring into being a community of love and life. It is love that makes the human person the authentic image of the Blessed Trinity, image of God.

Substance and Foundation of Devotion to the Sacred Heart - (Excerpt from Behold The Pierced One)

The Mystery of Easter*

Substance and Foundation of Devotion to the Sacred Heart

Excerpt from: Joseph Ratzinger, Behold The Pierced One, Ignatius Press, San Francisco 1986. 


1. The Crisis in Devotion to the Sacred Heart In the Age of Liturgical Reform

Although the encyclical Haurietis aquas was written at a time when devotion to the Sacred Heart was still alive in the forms of the nineteenth century, a crisis in this kind of devotion was already clearly detectable. More and more, the spirituality of the liturgical movement was dominating the Church’s spiritual climate in Central Europe; this spirituality, drawing its nourishment from the classical shape of the Roman liturgy, deliberately turned its back on the emotionalistic piety of the nineteenth century and its symbolism. It saw its model in the strict form of the Roman orationes, in which feeling is restrained and there is an extreme sobriety of expression, free of all subjectivity.

Along with this went a theological cast of mind which wanted to steer entirely by Scripture nd the Fathers, fashioning itself equally strictly according to the objective structural laws of the Christian edifice. The more emotional emphases of modern times were to be subordinated once more within this objective form. This meant, first and foremost, that Marian piety as well as those modern forms of prayer of a christological stamp, the Stations of the Cross and devotion to the Sacred Heart, had to retire into the background or else look for new modes of expression.

Nel cuore di Gesù è posto davanti a noi il centro del cristianesimo. Questo cuore invoca il nostro cuore. Ci invita a uscire dal vano tentativo di autoconservazione ed a trovare nell’amore reciproco, nella donazione di noi stessi a Lui e con Lui, la pienezza dell’amore, che sola è eternità e che sola mantiene il mondo

Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 30-36 


b) Ma come stanno le cose presso i Padri?
Secondo Auguste Hamon il primo millennio non dice nulla sul tema del «cuore di Gesù». Sembra che questa espressione appaia per la prima volta in Anselmo di Canterbury, senza però che abbia trovato il suo significato specifico [nota 1].
Con i suoi studi sull’interpretazione patristica di Gv 7,37-39 e Gv 19,34 Hugo Rahner ha incluso i Padri nella storia della devozione al Cuore di Gesù; resta però il problema – come abbiamo fatto già notare – che i Padri non usano il termine «cuore» in questo contesto. Ora è vero che l’espressione «Cuore di Gesù» [30] apparentemente non compare nei Padri, ma essi, al di là di quanto ha detto Hugo Rahner, forniscono un’importante fondazione alla devozione al Cuore di Gesù attraverso ciò che potremmo chiamare la loro teologia e fìlosofia del cuore.

Il ​cuore trafitto del Crocifisso è il compimento letterale della profezia del cuore di Dio, che capovolge la sua giustizia per compassione, e proprio così rimane giusto

Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 25-30


2.3. Antropologia e teologia del cuore nella Bibbia e nei Padri

Con ciò che abbiamo detto abbiamo mostrato che la devozione cristiana include i sensi, che ricevono il loro ordine e la loro unità dal cuore, e include i sentimenti, che hanno nel cuore il loro centro. Abbiamo mostrato che questa devozione centrata nel cuore corrisponde all’immagine del Dio cristiano, che ha un cuore. Abbiamo mostrato che tutto questo in definitiva è espressione e interpretazione del mistero pasquale, nel quale la storia d'amore di Dio con l'uomo trova la sua ricapitolazione.

Ora però dobbiamo chiederci: una tale accentuazione del termine «cuore» corrisponde non soltanto al contenuto, ma anche al linguaggio della tradizione?

Infatti, se il concetto di cuore è così fondamentale come lo abbiamo descritto, anche come vocabolo esso deve trovare almeno un sostegno fondamentale nella Bibbia e nella tradizione. A questo riguardo vorrei presentare infine due osservazioni.

Dio è uno che soffre perché è uno che ama; la tematica del Dio sofferente deriva dalla tematica del Dio che ama, e rinvia continuamente ad essa. Il vero superamento del concetto antico di Dio da parte di quello cristiano sta nel riconoscimento che Dio è amore

Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 16-24.


2.2 L’importanza dei sensi e del sentimento per la devozione

Con quanto abbiamo appena detto abbiamo già ricordato la conclusione essenziale che l’Enciclica [Haurietis aquas] trae dalla sua teologia della corporeità e dall’incarnazione: per rendersi conto del mistero di Dio, l’uomo ha bisogno di guardare, di quel fermarsi a guardare che diventa toccare. Egli deve salire la «scala» del corpo, per trovare su di essa il cammino al quale lo invita la fede.

A partire dalla problematica attuale si potrebbe dire: la cosiddetta devozione oggettiva, basata sulla partecipazione alla celebrazione della liturgia, non basta. Lo straordinario approfondimento spirituale che la mistica medievale e la grande devozione ecclesiale dell’età moderna hanno prodotto, non può, in nome di una riscoperta della Bibbia e dei Padri, essere messo da parte come superato o addirittura come erroneo. La liturgia stessa può essere celebrata in conformità alla sua particolare esigenza solo se è preparata e accompagnata dal «sostare» [16] meditativo nel quale il cuore comincia a vedere e comprendere, e così anche i sensi sono inclusi nella visione del cuore.

Infatti «solo con il cuore si vede bene», come fa dire Saint-Exupéry al suo piccolo principe, che può essere preso anche come un simbolo di quel «diventare come bambini» che dalla dotta follia del mondo degli adulti ritorna alla vera realtà dell'uomo, che sfugge al puro intelletto.

Noi tutti siamo Tommaso, l'incredulo; ma noi tutti possiamo, come lui, toccare il Cuore scoperto di Gesù; quindi toccare, guardare il Logos stesso, e così, con la mano e gli occhi rivolti a questo cuore, giungere alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!»

Joseph RatzingerMistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 12-16

2. Elementi per una nuova fondazione della devozione al Cuore di Gesù a partire dall’enciclica Haurietis aquas

Queste domande dopo il Concilio hanno portato alla considerazione che tutto ciò che era stato detto prima della riforma liturgica poi sia decaduto. Così esse hanno causato realmente un’ampia scomparsa della devozione al Cuore di Gesù. Questo è senza dubbio un fraintendimento del Vaticano II: l’enciclica Haurietis aquas aveva già dato una risposta a queste domande, una risposta che viene presupposta e che non è stata superata dalla riforma liturgica del Concilio.

Così non è solo la circostanza esterna del venticinquesimo anniversario della pubblicazione di questa Enciclica che ci spinge a riflettere di nuovo sul suo messaggio, ma lo esige la situazione stessa della devozione nella Chiesa. Nelle mie riflessioni vorrei semplicemente cercare di riprendere le risposte essenziali dell’Enciclica a queste domande, e chiarire ed esplicitare un po’ di più il suo modo di procedere, alla luce del successivo lavoro teologico.

«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37): il mistero pasquale e la devozione al Sacro Cuore di Gesù

Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 7-11.


1. La crisi della devozione al Cuore di Gesù nell’epoca della riforma liturgica

L'enciclica Haurietis aquas fu scritta in un momento nel quale la devozione al Cuore di Gesù era ancora viva nelle forme proprie del secolo XIX, ma era già chiaramente percepibile una crisi di questo tipo di devozione.
La spiritualità del movimento liturgico dominava sempre più il clima spirituale nella Chiesa nell'Europa centrale, ma questa spiritualità, che si nutriva del modello classico della liturgia romana, significò un deciso allontanamento dalla devozione sentimentalistica del secolo XIX e dal suo simbolismo. Assunse la sua norma dalla forma austera delle orazioni romane, nelle quali il sentimento è controllato e s’impone la più grande disciplina di un’espressione che si è liberata da ogni soggettivismo.

La festa del Corpus Domini è un grande atto di culto pubblico dell’Eucaristia, Sacramento nel quale il Signore rimane presente anche al di là del tempo della celebrazione, per stare sempre con noi, lungo il trascorrere delle ore e delle giornate

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 10 giugno 2012

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia e in molti altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, cioè la festa solenne del Corpo e Sangue del Signore, l’Eucaristia. È tradizione sempre viva, in questo giorno, tenere solenni processioni con il Santissimo Sacramento, per le strade e nelle piazze. A Roma questa processione si è già svolta a livello diocesano giovedì scorso, giorno preciso di questa ricorrenza, che ogni anno rinnova nei cristiani la gioia e la gratitudine per la presenza eucaristica di Gesù in mezzo a noi.

La festa del Corpus Domini è un grande atto di culto pubblico dell’Eucaristia, Sacramento nel quale il Signore rimane presente anche al di là del tempo della celebrazione, per stare sempre con noi, lungo il trascorrere delle ore e delle giornate.

È sbagliato contrapporre la celebrazione dell'Eucaristia e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. È proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 7 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle!

Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. È importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. È l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva  penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.

In una cultura sempre più individualistica, quale è quella in cui siamo immersi nelle società occidentali, l’Eucaristia costituisce una sorta di “antidoto”, che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio, della condivisione, cioè la logica del Vangelo

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 26 giugno 2011


Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, la festa dell’Eucaristia, il Sacramento del Corpo e Sangue del Signore, che Egli ha istituito nell’Ultima Cena e che costituisce il tesoro più prezioso della Chiesa. L’Eucaristia è come il cuore pulsante che dà vita a tutto il corpo mistico della Chiesa: un organismo sociale tutto basato sul legame spirituale ma concreto con Cristo. Come afferma l’apostolo Paolo: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,17). Senza l’Eucaristia la Chiesa semplicemente non esisterebbe. È l’Eucaristia, infatti, che fa di una comunità umana un mistero di comunione, capace di portare Dio al mondo e il mondo a Dio. Lo Spirito Santo, che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, trasforma anche quanti lo ricevono con fede in membra del corpo di Cristo, così che la Chiesa è realmente sacramento di unità degli uomini con Dio e tra di loro.

Il mutamento della sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo è frutto del dono che Cristo ha fatto di se stesso, dono di un Amore più forte della morte, Amore divino che lo ha fatto risuscitare dai morti

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 23 giugno 2011


Cari fratelli e sorelle!

La festa del Corpus Domini è inseparabile dal Giovedì Santo, dalla Messa in Caena Domini, nella quale si celebra solennemente l’istituzione dell’Eucaristia. Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, oggi, nella ricorrenza del Corpus Domini, questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento viene portato in processione per le vie delle città e dei villaggi, per manifestare che Cristo risorto cammina in mezzo a noi e ci guida verso il Regno dei cieli.

Quello che Gesù ci ha donato nell’intimità del Cenacolo, oggi lo manifestiamo apertamente, perché l’amore di Cristo non è riservato ad alcuni, ma è destinato a tutti. Nella Messa in Caena Domini dello scorso Giovedì Santo ho sottolineato che nell’Eucaristia avviene la trasformazione dei doni di questa terra – il pane e il vino – finalizzata a trasformare la nostra vita e ad inaugurare così la trasformazione del mondo. Questa sera vorrei riprendere tale prospettiva.

Attraverso il “sì” di Maria la speranza della storia è divenuta una realtà

ANGELUS
Domenica, 6 giugno 2010
Nicosia


Cari fratelli e sorelle in Cristo,

a mezzogiorno è tradizione della Chiesa rivolgersi in preghiera alla Beata Vergine Maria, ricordando con gioia il suo pronto assenso a divenire la madre di Dio. È stato un invito che l’ha riempita di trepidazione e che lei avrebbe potuto appena comprendere. Era un segno che Dio aveva scelto lei, sua umile ancella, per cooperare con lui nell’opera di salvezza. Come non rallegrarci per la generosità della sua risposta! Attraverso il suo “sì” la speranza della storia è divenuta una realtà, l’Unico che Israele aveva da lungo atteso venne nel mondo, dentro la nostra storia. Di lui l’angelo ha annunciato che il suo regno non avrebbe avuto fine (Lc 1,33).

Circa trent’anni dopo, trovandosi Maria piangente ai piedi della croce, dev’essere stato difficile mantenere viva questa speranza. Le forze delle tenebre sembrava che avessero avuto il sopravvento. E nel suo intimo lei avrebbe ricordato le parole dell'angelo. Ma anche nella desolazione del Sabato Santo la certezza della speranza la sostenne fino alla gioia della mattina di Pasqua. Ed anche noi, suoi figli, viviamo nella stessa fiduciosa speranza che la Parola fatta carne nel seno di Maria, mai ci abbandonerà. Egli, il Figlio di Dio e il Figlio di Maria, fortifica la comunione che ci lega insieme così che noi possiamo divenire testimoni di lui e del potere del suo amore che guarisce e riconcilia.

Noi non facciamo memoria di un eroe morto prolungando ciò che egli ha fatto: al contrario, quando noi partecipiamo all'opera di salvezza di Gesù, Egli è vivente in noi, suo corpo, la Chiesa, suo popolo sacerdotale

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Palazzo dello Sport Elefteria - Nicosia
Domenica, 6 giugno 2010

  
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
[…] 
Oggi celebriamo la Solennità del Corpo e Sangue di Cristo. Corpus Christi, il nome dato a questa festa in Occidente, è usato nella tradizione della Chiesa per indicare tre distinte realtà: il corpo fisico di Gesù, nato dalla Vergine Maria, il suo corpo eucaristico, il pane del cielo che ci nutre in questo grande sacramento, e il suo corpo ecclesiale, la Chiesa.

Riflettendo su questi diversi aspetti del Corpus Christi, giungiamo ad una più profonda comprensione del mistero della comunione che lega tutti coloro che appartengono alla Chiesa. Tutti quelli che si nutrono del corpo e sangue di Cristo nell’Eucarestia  sono riuniti dallo Spirito Santo in un solo corpo (cfr Preghiera Eucaristica II) per formare l’unico popolo santo di Dio.

Così come lo Spirito Santo è sceso sugli Apostoli nel Cenacolo a Gerusalemme, lo stesso Santo Spirito è all’opera in ogni celebrazione della Messa per un duplice scopo: santificare i doni del pane e del vino affinché diventino il corpo e sangue di Cristo e riempire coloro che sono nutriti da questi santi doni perché possano divenire un solo corpo ed un solo spirito in Cristo.

È l’amore divino che trasforma: l’amore con cui Gesù accetta in anticipo di dare tutto se stesso per noi. Questo amore non è altro che lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, che consacra il pane e il vino e muta la loro sostanza nel Corpo e nel Sangue del Signore, rendendo presente nel Sacramento lo stesso Sacrificio che si compie poi in modo cruento sulla Croce

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano
Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Giovedì, 3 giugno 2010


Cari fratelli e sorelle!

Il sacerdozio del Nuovo Testamento è strettamente legato all’Eucaristia. Per questo oggi, nella solennità del Corpus Domini e quasi al termine dell’Anno Sacerdotale, siamo invitati a meditare sul rapporto tra l’Eucaristia e il Sacerdozio di Cristo. In questa direzione ci orientano anche la prima lettura e il salmo responsoriale, che presentano la figura di Melchisedek. Il breve passo del Libro della Genesi (cfr 14,18-20) afferma che Melchisedek, re di Salem, era “sacerdote del Dio altissimo”, e per questo “offrì pane e vino” e “benedisse Abram”, reduce da una vittoria in battaglia; Abramo stesso diede a lui la decima di ogni cosa. Il salmo, a sua volta, contiene nell’ultima strofa un’espressione solenne, un giuramento di Dio stesso, che dichiara al Re Messia: “Tu sei sacerdote per sempre / al modo di Melchisedek” (Sal 110,4); così il Messia viene proclamato non solo Re, ma anche Sacerdote. Da questo passo prende spunto l’autore della Lettera agli Ebrei per la sua ampia e articolata esposizione. E noi lo abbiamo riecheggiato nel ritornello: “Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore”: quasi una professione di fede, che acquista un particolare significato nella festa odierna. È la gioia della comunità, la gioia della Chiesa intera, che, contemplando e adorando il Santissimo Sacramento, riconosce in esso la presenza reale e permanente di Gesù sommo ed eterno Sacerdote.

Guardando Gesù e adorandoLo, noi diciamo: sì, l’amore esiste, e poiché esiste, le cose possono cambiare in meglio e noi possiamo sperare. È la speranza che proviene dall’amore di Cristo a darci la forza di vivere e di affrontare le difficoltà

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 14 giugno 2009


Cari fratelli e sorelle!

Si celebra oggi in diversi Paesi, tra i quali l’Italia, il Corpus Domini, la festa dell’Eucaristia, in cui il Sacramento del Corpo del Signore viene portato solennemente in processione. Che cosa significa per noi questa festa?

Essa non fa pensare solo all’aspetto liturgico; in realtà, il Corpus Domini è un giorno che coinvolge la dimensione cosmica, il cielo e la terra. Evoca prima di tutto – almeno nel nostro emisfero – questa stagione così bella e profumata in cui la primavera volge ormai all’estate, il sole è forte nel cielo e nei campi matura il frumento. Le feste della Chiesa – come quelle ebraiche – hanno a che fare con il ritmo dell’anno solare, della semina e del raccolto. In particolare, questo risalta nella solennità odierna, al cui centro sta il segno del pane, frutto della terra e del cielo. Perciò il pane eucaristico è il segno visibile di Colui nel quale cielo e terra, Dio e uomo sono diventati una cosa sola. E questo mostra che il rapporto con le stagioni non è per l’anno liturgico qualche cosa di meramente esteriore.

C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Giovedì, 11 giugno 2009

Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue 


Cari fratelli e sorelle,

queste parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena, vengono ripetute ogni volta che si rinnova il Sacrificio eucaristico. Le abbiamo ascoltate poco fa nel Vangelo di Marco e risuonano con singolare potenza evocativa quest’oggi, solennità del Corpus Domini. Esse ci conducono idealmente nel Cenacolo, ci fanno rivivere il clima spirituale di quella notte quando, celebrando la Pasqua con i suoi, il Signore nel mistero anticipò il sacrificio che si sarebbe consumato il giorno dopo sulla croce. L’istituzione dell’Eucaristia ci appare così come anticipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte. Scrive in proposito sant’Efrem Siro: Durante la cena Gesù immolò se stesso; sulla croce Egli fu immolato dagli altri (cfr Inno sulla crocifissione 3, 1).

Questa è la bellezza della verità cristiana: il Creatore e Signore di tutte le cose si è fatto "chicco di grano" per esser seminato nella nostra terra, nei solchi della nostra storia; si è fatto pane per essere spezzato, condiviso, mangiato; si è fatto nostro cibo per darci la vita, la sua stessa vita divina

ANGELUS
Piazza San Pietro 
Domenica, 25 maggio 2008


Cari fratelli e sorelle!

In Italia e in diversi Paesi ricorre oggi la solennità del Corpus Domini, che in Vaticano e in altre nazioni è stato già celebrato giovedì scorso. È la festa dell’Eucaristia, dono meraviglioso di Cristo, che nell’Ultima Cena ha voluto lasciarci il memoriale della sua Pasqua, il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, pegno di immenso amore per noi. Una settimana fa i nostri sguardi erano attratti del mistero della Santissima Trinità; quest’oggi siamo invitati a fissarli sull’Ostia santa: è lo stesso Dio! Lo stesso Amore!