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Nel cuore di Gesù è posto davanti a noi il centro del cristianesimo. Questo cuore invoca il nostro cuore. Ci invita a uscire dal vano tentativo di autoconservazione ed a trovare nell’amore reciproco, nella donazione di noi stessi a Lui e con Lui, la pienezza dell’amore, che sola è eternità e che sola mantiene il mondo

Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 30-36 


b) Ma come stanno le cose presso i Padri?
Secondo Auguste Hamon il primo millennio non dice nulla sul tema del «cuore di Gesù». Sembra che questa espressione appaia per la prima volta in Anselmo di Canterbury, senza però che abbia trovato il suo significato specifico [nota 1].
Con i suoi studi sull’interpretazione patristica di Gv 7,37-39 e Gv 19,34 Hugo Rahner ha incluso i Padri nella storia della devozione al Cuore di Gesù; resta però il problema – come abbiamo fatto già notare – che i Padri non usano il termine «cuore» in questo contesto. Ora è vero che l’espressione «Cuore di Gesù» [30] apparentemente non compare nei Padri, ma essi, al di là di quanto ha detto Hugo Rahner, forniscono un’importante fondazione alla devozione al Cuore di Gesù attraverso ciò che potremmo chiamare la loro teologia e fìlosofia del cuore.


Questa ha una tale importanza per tutto il loro pensiero che, ad esempio, Aston Maxsein ha potuto pubblicare una ricerca sulla «philosophia cordis» «filosofia del cuore», secondo Agostino [nota 2]. Chi ha letto le Confessioni di Agostino, sa quale importanza ha in esse il termine «cuore» come punto centrale di un'antropologia dialogica. È chiaro che qui la corrente della terminologia biblica, e con essa la corrente della teologia e antropologia biblica, è penetrata nel suo pensiero, e si è unita a una concezione platonica dell’uomo di indole del tutto diversa, nella quale non c’è un significato simile del concetto di «cuore».

Resta da chiedersi fino a che punto qui si sia raggiunta una sintesi concreta. Più volte nella letteratura c’è il sospetto che nei Padri il mondo biblico delle immagini e il mondo platonico delle idee non si siano veramente compenetrati; che nell’ambito concettuale Agostino forse sia rimasto ancora largamente platonico.

Ma che il problema delle due antropologie sia stato pienamente percepito, lo mostra, ad esempio, un’espres[31]sione di san Girolamo, il quale afferma che secondo Plafone e i platonici il centro dell'uomo è il cervello, mentre secondo Cristo è il cuore [nota 3].
Se si approfondisce la questione, si vede che qui non si tratta semplicemente di un platonismo contrapposto alla Bibbia, ma che nello stesso tempo è all'opera anche la contrapposizione tra l'antropologia platonica e l'antropologia stoica, la cui tensione offrì ai Padri la possibilità di delineare una nuova sintesi antropologica a partire dalla Bibbia [nota 4].

Secondo l'antropologia platonica si possono distinguere tra loro singole potenze dell’anima, che nello stesso tempo stanno tra loro in un rapporto gerarchico ordinato: intelletto, volontà e sensibilità.

La Stoa, che concepisce l'uomo come un microcosmo in perfetta corrispondenza con il macrocosmo, respinge questa rappresentazione: l'intero cosmo è stato formato dal fuoco primordiale, che di per sé è amorfo, ma si trasforma di volta in volta in ciò che esso produce da sé. Allo stesso modo il corpo umano è formato e animato da una scintilla di questo fuoco primordiale divino, che penetra il corpo.
Nello sviluppo delle funzioni vitali, [32] che sono tutte orientate alla conservazione dell’essere vivente, questa unica forza vivificante (pneuma pyrodes) si trasforma subito in udito, in vista, in pensiero. in rappresentazione. È sempre la stessa realtà, e tuttavia opera in una diversità che rappresenta una specie di scala dell'interiorità. Il fuoco primordiale, che mantiene il cosmo, si chiama «Logos», e la sua scintilla in noi si chiama giustamente «il Logos in noi» [nota 5].

Possiamo facilmente immaginare quali possibilità venissero offerte da tali rappresentazioni per la comprensione del mistero di Cristo. La Stoa ha paragonato questo centro del cosmo al sole, che perciò porta anche il nome di «cuore del cosmo». Corrispondentemente la scintilla del fuoco primordiale nell’uomo ha la sua sede nel cuore, nell’organo dal quale si diffonde il calore vitale nell’intero organismo.
Il cuore è il sole del corpo, è il Logos in noi. E, al contrario, il Logos è il cuore del mondo. In questo senso la Stoa conosce una teologia e un’antropologia del cuore del tutto particolari nei riguardi all’intellettualismo dei platonici [nota 6].

Prese in sé, le concezioni della Stoa devono essere designate come uno strano miscuglio di banale naturali[33]smo e profonda intuizione filosofica. Per i Padri esse significavano, in correlazione all’eredità platonica e alla fede biblica, un’ottima opportunità per una nuova sintesi che fu intrapresa di nuovo nel modo più energico da Origine.

L'occasione di riprendere questa concezione ali fu data dall'espressione del Battista riferita in Gv 1, 26: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». A questo proposito egli dice che è il Logos che senza che noi lo riconosciamo è in mezzo a tutti noi, perché il centro dell’uomo è il cuore, ma nel cuore c’è l’hegemonikon. la forza che dirige tutto, che è il Logos [nota 7]. È il Logos che ci rende capaci di essere conformi a lui; egli infatti è l'immagine di Dio, secondo la quale siamo stati creati [nota 8].
Il termine «cuore», andando oltre l'intelletto, viene ora a designare «un livello più profondo dell’esistenza spirituale, dove si realizza un contatto immediato con il divino». [nota 9] È qui, nel cuore, che avviene la nascita del Logos divino nell'uomo, l’unione dell’uomo con la Parola di Dio personale e incarnata [nota 10].

Endre von Ivänka ha mostrato in modo appassionante come a partire da queste riflessioni di Origene si sia [34] sviluppata quella corrente di devozione e di pensiero che in Guglielmo di Saint-Thierry e nelle monache tedesche del Medioevo porta alla fioritura della devozione al Cuore di Gesù e, in generale, a quella mistica che conosce il primato del cuore sulla ragione, dell’amore sulla conoscenza.
Da qui si tende l’arco fino al principio di Pascal: «Dio sensibile al cuore, non alla ragione»; «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce» [nota 11]. E naturalmente anche il detto, già ricordato, di Newman «cor ad cor loquitur» sta in questa linea della tradizione.

Per questo il ricorso al cuore come al luogo dell’incontro salvifico con il Logos si basa profondamente sulla nuova sintesi del pensiero patristico, come lo formula, ad esempio, Agostino in riferimento ai salmi: «Redeamus ad cor, ut inveniamus Eum», «Ritorniamo al cuore, per trovare Lui». Sarebbe un compito veramente bello mostrare come a partire da qui i fondamenti antropologici della devozione al Cuore di Gesù si dilatano e si approfondiscono; ma questo ci porterebbe di gran lunga al di là dei limiti qui stabiliti.

Infine, mi sia concessa ancora un’osservazione.
La Stoa vede nel cuore il sole del microcosmo, la forza vitale e l’energia conservatrice dell’organismo umano e dell’uomo in generale. La Stoa definisce la funzione di [35] questo hegemonikon, di questa forza guida, come synteresis, come compito di «tenere insieme». Cicerone esprime il senso di queste tenere insieme con la frase: «Omne animal… id agit ut se conservet», «Ogni essere vivente agisce per conservarsi». Similmente Seneca afferma: «Omnes ferentur ad conservationem suam», «Tutti sono portati a conservare la propria vita» [nota 12].

Il compito del cuore è l’autoconservazione, il tenere insieme ciò che è proprio. Il cuore trafitto di Gesù ha veramente «capovolto» anche questa definizione (cf. Os 11,8).

Questo cuore non è autoconservazione ma donazione di se stesso. Salva il mondo aprendosi. Il capovolgimento del cuore aperto è il contenuto del mistero pasquale. Il cuore salva davvero, ma salva donandosi.

Così nel cuore di Gesù è posto davanti a noi il centro del cristianesimo. In esso è espressa tutta la novità veramente rivoluzionaria che avviene nella Nuova Alleanza. Questo cuore invoca il nostro cuore. Ci invita a uscire dal vano tentativo di autoconservazione ed a trovare nell’amore reciproco, nella donazione di noi stessi a Lui e con Lui, la pienezza dell’amore, che sola è eternità e che sola mantiene il mondo.




[nota 1] A. Hamon, «Coeur (Sacrè)», in Dictionnaire de Spiritualité, II, 1023-1046. [30]
[nota 2] A. Maxsein, Philosophia cordis, Das Weden der Persönalichkeit bei Augustinus, Salzburg 1966. [31]
[nota 3] «… quaeritur ubi sit animae principale: Plato in cerebro, Christus monstrat esse in corde» (San Girolamo, Epistulae, 64, 1; CSEL 54, 587). H. Rahner, Symbole der Kirche. Die Ekklesiologieder Väter cit., p. 148 rimanda anche a testi simili di Gregorio di Nizza, De hominis opificio, c. 12 (PG 44, 156 CD) e Lattanzio, De opificio Dei (CSEL 27 e 51ss). [32]
[nota 4] Su ciò che segue cfr. E. von Ivánka, Plato christianus, cit., pp. 315-351. [32]
[nota 5] Cfr. Ibid., pp. 317-312; specialmente i testi citati a pagina 321. [33]
[nota 6] Cfr. Ibid., pp. 364-385, analizza a fondo la relazione tra gli elementi platonici e stoici, origeniani e agostiniani in questa corrente di tradizione. [33]
[nota 7] Cfr. Origene, In Ioannem Commentarii, GCS IV, 94, 18. Cfr. il frammento in GCS IV, 497-498; cfr. E. von Ivánka, Plato christianus, cit., p. 325. [34]
[nota 8] Ibid., GCS IV, 494, 22ss. Sulla dottrina menzionata della nascita di Dio dal cuore della Chiesa e dei fedeli, cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, cit., pp. 13-78. [34]
[nota 9] E. von Ivánka, Plato christianus, cit., p. 326. [34]
[nota 10] Cfr. Ibid., pp. 325-326. [34]
[nota 11] Cfr. Ibid., p. 350. [35]

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