Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

Il blog non è un prodotto editoriale, è realizzato da volontari, ed è senza alcuna finalità di lucro. L'unico obiettivo è quello di fare conoscere in maniera più approfondita gli insegnamenti e le preziosa eredità lasciataci, per essere di invito all'acquisto ed alla lettura delle opere integrali. L'aggiornamento non ha una periodicità fissa.

Si invita a segnalare ogni eventuale violazione del diritto d'autore all'indirizzo scrittijosephratzinger@gmail.com.

Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita - XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Angelus di Benedetto XVI

di Domenica 13 settembre 2009

In questa Domenica – la 24.ma del Tempo Ordinario – la Parola di Dio ci interpella con due questioni cruciali che riassumerei così: “Chi è per te Gesù di Nazaret?”. E poi: “La tua fede si traduce in opere oppure no?”. 

La prima domanda la troviamo nel Vangelo odierno, là dove Gesù chiede ai suoi discepoli: “Voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29). La risposta di Pietro è netta e immediata: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia, il consacrato di Dio mandato a salvare il suo popolo. Pietro e gli altri apostoli, dunque, a differenza della maggior parte della gente, credono che Gesù non sia solo un grande maestro, o un profeta, ma molto di più. Hanno fede: credono che in Lui è presente e opera Dio. Subito dopo questa professione di fede, però, quando Gesù per la prima volta annuncia apertamente che dovrà patire ed essere ucciso, lo stesso Pietro si oppone alla prospettiva di sofferenza e di morte. Gesù allora deve rimproverarlo con forza, per fargli capire che non basta credere che Lui è Dio, ma spinti dalla carità bisogna seguirlo sulla sua stessa strada, quella della croce (cfr Mc 8,31-33). 

Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita.

Questa via è l’amore, che è l’espressione della vera fede. Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso, vuol dire che conosce veramente Dio. Se invece uno dice di avere fede, ma non ama i fratelli, non è un vero credente. Dio non abita in lui. Lo afferma chiaramente san Giacomo nella seconda lettura della Messa di questa Domenica: “Se non è seguita dalle opere, [la fede] in se stessa è morta” (Gc 2,17). 

A questo proposito, mi piace citare uno scritto di san Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Padri della Chiesa, che il calendario liturgico ci invita oggi a ricordare. Proprio commentando il passo citato della Lettera di Giacomo egli scrive: “Uno può anche avere una retta fede nel Padre e nel Figlio, così come nello Spirito Santo, ma se non ha una retta vita, la sua fede non gli servirà per la salvezza. Quando dunque leggi nel Vangelo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio» (Gv17,3), non pensare che questo verso basti a salvarci: sono necessari una vita e un comportamento purissimi” (cit. in J. A. Cramer, Catenae graecorum Patrum in N.T., vol. VIII: In Epist. Cath. et Apoc., Oxford 1844).

[...]

L’apertura del cristiano al mondo, della quale oggi si sente tanto parlare, non può reperire il proprio modello altrove che nel fianco aperto del Signore

Testo di Joseph Ratzinger da Karl Rahner-Joseph Ratzinger, Settimana Santa, Queriniana, Brescia 2012, § Venerdì Santo, Seconda meditazione, pp 61-64.


Volgiamo ancora una volta il nostro sguardo al lato aperto del Cristo crocifisso, giacché questo sguardo costituisce il senso intimo del Venerdì santo che vuole riportare i nostri occhi via da tutte le attrazioni del mondo, dalla fata Morgana delle sue promesse in vetrina, al vero punto direzionale che unico ci può garantire il cammino [61] in mezzo al groviglio di viuzze che girano sempre attorno allo stesso posto.

Giovanni ha espresso in maniera ancora diversa, rispetto a quella precedentemente considerata, il pensiero che la chiesa deve la sua origine più profonda al fianco trafitto di Cristo. Egli accenna al fatto che dalla ferita del fianco sono usciti sangue ed acqua.

Sangue ed acqua stanno ad indicare per lui i due sacramenti fondamentali, battesimo ed eucaristia, che a loro volta costituiscono il contenuto autentico dell’esser-chiesa della chiesa.

Battesimo ed eucaristia sono i due modi in cui gli uomini possono essere inseriti nello spazio vitale di Gesù Cristo. Il battesimo sta a significare infatti che un uomo diventa cristiano e si pone sotto il nome di Gesù Cristo. E questo stare sotto un nome significa molto di più che un puro gioco di parole; ciò che sta a significare può essere visto un po’ attraverso l’evento del matrimonio e la comunità di nome che si istituisce tra due persone come espressione dell’unione vicendevole del loro essere, che avviene appunto nel matrimonio.

Il battesimo che, come attuazione sacramentale del divenire cristiani, ci unisce al nome di Cristo, sta a significare esattamente un evento simile al matrimonio: compenetrazione della nostra esistenza con la sua, inserimento della nostra vita nella sua, che diventa cosi criterio e spazio del mio essere umano.

L'ingresso in Gerusalemme di Gesù

tratto da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 11-34

Capitolo 1 - Ingresso in Gerusalemme e purificazione del Tempio

1. L’ingresso in Gerusalemme
Il Vangelo di Giovanni riferisce su tre feste di Pasqua, che Gesù ha celebrato durante il periodo della sua vita pubblica: una prima Pasqua, alla quale era legata la purificazione del tempio (2,13-25); la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) e infine la Pasqua della morte e risurrezione (p. es. 12,1; 13,1), che è divenuta la «sua» grande Pasqua, sulla quale si fonda la festa cristiana, la Pasqua dei cristiani. I sinottici hanno trasmesso notizia di una sola Pasqua: quella della croce e risurrezione; in Luca il cammino di Gesù appare quasi come un unico ascendere in pellegrinaggio dalla Galilea fino a Gerusalemme.
È una «ascesa» innanzitutto nel senso geografico: il Mare di Galilea è situato a 200 metri circa sotto il livello del mare, l’altezza media di Gerusalemme è di 760 metri al di sopra di tale livello. Come gradini di questa salita, ciascuno dei sinottici ci ha trasmesso tre profezie di Gesù circa la sua passione, alludendo con ciò anche all’ascesa interiore, che si svolge nel cammino esteriore: l’andar su verso il tempio come luogo dove Dio voleva «stabilire il suo nome» – così il Libro del Deuteronomio descrive il tempio (cfr 12,11; 14,23). [11]
L’ultima meta di questa «ascesa» di Gesù è l’offerta di se stesso sulla croce, offerta che sostituisce i sacrifici antichi; è la salita che la Lettera agli Ebrei qualifica come l’ascesa verso la tenda non più fatta da mani d’uomo, ossia nel cielo stesso, al cospetto di Dio (9,24). Questa ascesa fino al cospetto di Dio passa attraverso la croce – è la salita verso l’«amore sino alla fine» (cfr Gv 13,1), che è il vero monte di Dio.

Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere

Tratto da Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. L’infanzia di Gesù, Rizzoli (Milano 2012) - Libreria Editrice Vaticana, (Roma 2012), cap. 3. La nascita di Gesù a Betlemme, § 3. La presentazione di Gesù al Tempio, pp. 94-103.

3. La presentazione di Gesù al Tempio

Luca conclude la narrazione della nascita di Gesù con un racconto di ciò che, secondo la Legge di Israele, è avvenuto riguardo a Gesù nell’ottavo e nel quarantesimo giorno.

L’ottavo giorno è il giorno della circoncisione. Così  Gesù  viene  accolto  formalmente  nella comunità [94] delle promesse che proviene da Abramo; ora appartiene anche giuridicamente al popolo di Israele. Paolo allude a questo fatto, quando nella Lettera ai Galati scrive: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4,4s). Insieme alla circoncisione, Luca menziona esplicitamente l’imposizione del nome preannunciato, Gesù – «Dio salva» (cfr. 2,21) – così che a partire dalla circoncisione viene proiettato lo sguardo verso l’adempimento delle attese che appartengono all’essenza dell’alleanza.

Del quarantesimo giorno fanno parte tre avvenimenti: la «purificazione» di Maria, il «riscatto» del figlio primogenito Gesù mediante un sacrificio prescritto dalla Legge e la «presentazione» di Gesù al tempio.

Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana

Joseph Ratzinger, Una compagnia in cammino. La Chiesa e il suo ininterrotto rinnovamento, in Communio. Rivista internazionale di Teologia e Cultura, Jaca Book, n. 208-210 (luglio-dicembre 2006) - La vita di Dio per gli uomini, pp. 336-349.

Una compagnia in cammino. La Chiesa e il suo ininterrotto rinnovamento.*

Lo scontento verso la Chiesa

Non c'è bisogno di molta immaginazione per indovinare che la compagnia di cui qui voglio parlare è la Chiesa. Forse si è evitato di menzionare nel titolo il termine “Chiesa” solo perché esso provoca spontaneamente, nella maggior parte degli uomini di oggi, reazioni di difesa. Essi pensano: “di Chiesa abbiamo già sentito parlare fin troppo e per lo più non si è trattato di niente di piacevole”. La parola e la realtà della Chiesa sono cadute in discredito. E perciò anche una simile riforma permanente non sembra poter cambiare qualcosa. O forse il problema è solamente che finora non è stato scoperto il tipo di riforma che potrebbe fare della Chiesa una compagnia che valga davvero la pena di essere vissuta?

Ma chiediamoci innanzitutto: perché la Chiesa riesce sgradita a così tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra [336] sofferenze, lo sono in qualche modo ancora oggi? I motivi sono tra loro molto diversi, anzi opposti, a seconda delle posizioni.

L’agnosticismo del nostro tempo, in apparenza così ragionevole, il quale lascia che Dio sia Dio per fare dell’uomo semplicemente un uomo, si dimostra una idiozia dalla vista corta.

tratto da Joseph RatzingerGuardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, § 2. L'agnosticismo è una via d'uscita? Intermezzo: la follia dell'intelligente e le condizioni della vera sapienza, pp. 16-21.

Intermezzo: la follia dell’intelligente e le condizioni della vera sapienza

A questo punto vorrei interrompere per un istante la nostra riflessione, forse un po’ astratta, e inserire una parabola biblica; riprenderemo poi il filo del nostro pensiero. 

Penso alla storia raccontata da Gesù e riportata in Luca 12,16-21: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».


L’uomo ricco di questa parabola è senza dubbio intelligente; se ne intende dei suoi affari. Sa calcolare le possibilità di mercato; tiene in considerazione i fattori di insicurezza nella natura come [16] nel comportamento umano. Le sue riflessioni sono ben pensate, il successo gli dà ragione. Se è consentito ampliare un po’ la parabola, possiamo dire che quest’uomo era di sicuro troppo intelligente per essere un ateo. Ma ha vissuto come un agnostico: «come se Dio non ci fosse».

Nel momento in cui noi ci segniamo con la croce ci poniamo sotto la protezione della croce, la teniamo davanti a noi come uno scudo che ci protegge nelle tribolazioni del nostre giornate e ci dà il coraggio per andare avanti

tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, Parte IV - Forma liturgica, Cap. II – Il corpo e la liturgia, § 2. Il segno della croce, pp. 173-180.

2. Il segno della croce
Il gesto fondamentale della preghiera del cristiano è e resta il segno della croce. È una professione, espressa mediante il corpo, di fede in Cristo Crocifisso, secondo le parole programmatiche di san Paolo: «Noi annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1, 23ss). E ancora: «Io non volli sapere tra di voi se non Cristo, e questi crocifisso» (2,2).

Segnare se stessi con il segno della croce è un sì visibile e pubblico a Colui che ha sofferto per noi; a Colui che nel corpo ha reso visibile l'amore di Dio fino all’estremo; al Dio che non governa mediante la distruzione, ma attraverso l’umiltà della sofferenza e dell'amore, che è più forte di tutta la potenza del mondo e più saggia di tutta l’intelligenza e di tutti i calcoli dell’uomo.

Davanti alla questione di Dio non si dà neutralità per l’uomo. Questi può solo dire sì o no, e questo inoltre con tutte le conseguenze fin nelle vicende più piccole della vita

tratto da Joseph RatzingerGuardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, § 2. L'agnosticismo è una via d'uscita?, pp. 13-16.

2. L’agnosticismo è una via d’uscita?

In tutto ciò si aprono varchi verso la fede religiosa, si rendono visibili somiglianze di struttura. Ma se ora tentiamo il passaggio, la strada ci viene sbarrata subito da un’obiezione grave e importante, che si può formulare pressappoco così. Può darsi che nella vita sociale dell’uomo sia impossibile che ognuno possa «sapere» tutto l’utile e necessario alla vita e che il nostro agire si fondi quindi sulla «fede» nel «sapere» di altri. Ma con questo noi rimaniamo nel campo del sapere umano che in linea di principio tutti possono acquisire.
Invece, con la fede nella rivelazione, noi superiamo i confini del sapere propriamente umano. Anche se l’esistenza di Dio può forse diventare un «sapere», la rivelazione e i suoi contenuti restano fede per tutti, qualcosa che sta al di là di quanto è accessibile al nostro sapere. Qui non esiste nessun riferimento al sapere specializzato di alcuni a cui potersi affidare, perché conoscono immediatamente le cose in base alla propria ricerca.

La domanda è: la fede è un atteggiamento degno di un uomo moderno e maturo?

tratto da Joseph RatzingerGuardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, § 1. Fede nella vita quotidiana come atteggiamento fondamentale dell'uomo, pp. 11-13.


1. Fede nella vita quotidiana come atteggiamento fondamentale dell’uomo

Ma qui non vogliamo entrare in questa discussione; molte cose che saranno dette in queste conversazioni possono essere però una tranquilla risposta alle domande che ne risultano. Ora ci importa semplicemente di imparare meglio l’atto fondamentale dell’esistenza cristiana, l’atto della fede. Se ci mettiamo per questa strada, sorge subito un impedimento. Avvertiamo, per così dire, una di quelle nostre intime rotture, che bloccano il nostro movimento nel campo della fede. La domanda è: la fede è un atteggiamento degno di un uomo moderno e maturo?

Nel «fare» siamo diventati grandi, anzi grandissimi, ma nell’essere, nell’arte dell’esistere le cose stanno diversamente.

tratto da Joseph Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, pp. 9-10.


I. FEDE

Le riflessioni contenute in questo libro non sono solo considerazioni teoriche, vogliono essere invito a «esercizi spirituali». Che cosa sono precisamente? Che cosa vi facciamo? 
Ci si può «esercitare» solo in qualcosa che già in qualche modo si possiede; l’esercizio presuppone un fondamento già dato. Ma solo esercitandomi, la qualità di cui si tratta diventa mia proprio al punto da poterne disporre e da renderla fruttuosa. Un pianista deve esercitarsi nella sua arte, altrimenti la perde. Uno sportivo deve «allenarsi» perché solo così egli sarà in piena forma. Dopo la rottura di una gamba devo nuovamente esercitare l’organo in via di guarigione, perché impari di nuovo a sostenermi e via dicendo.

Che cosa ci si aspetta dal Battesimo? Aspettiamo per i nostri bambini la vita eterna! Questo è lo scopo del Battesimo. Ma Come il Battesimo può dare la vita eterna?

OMELIA

Cappella Sistina
Festa del Battesimo del Signore,
8 gennaio 2006
    
Cari genitori, padrini e madrine,
Cari fratelli e sorelle!

Che cosa succede nel Battesimo? Che cosa ci si aspetta dal Battesimo? Voi avete dato una risposta sulla soglia di questa Cappella: aspettiamo per i nostri bambini la vita eterna. Questo è lo scopo del Battesimo. Ma, come può essere realizzato? Come il Battesimo può dare la vita eterna? Che cosa è la vita eterna?

Si potrebbe dire con parole più semplici: aspettiamo per questi nostri bambini una vita buona; la vera vita; la felicità anche in un futuro ancora sconosciuto. Noi non siamo in grado di assicurare questo dono per tutto l'arco del futuro sconosciuto e, perciò, ci rivolgiamo al Signore per ottenere da Lui questo dono.

Che significa questa "porta stretta"? Perché molti non riescono ad entrarvi? Si tratta forse di un passaggio riservato solo ad alcuni eletti? In realtà il messaggio di Cristo va inteso in senso opposto...

BENEDETTO XVI
ANGELUS
Palazzo Apostolico, Castel Gandolfo
Domenica, 26 agosto 2007
 XXI domenica del tempo ordinario - Anno C

Cari fratelli e sorelle!

Anche l'odierna liturgia ci propone una parola di Cristo illuminante e al tempo stesso sconcertante. Durante la sua ultima salita verso Gerusalemme, un tale gli chiede: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". E Gesù risponde: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno" (Lc 13, 23-24).

Che significa questa "porta stretta"? Perché molti non riescono ad entrarvi? Si tratta forse di un passaggio riservato solo ad alcuni eletti? In effetti, questo modo di ragionare degli interlocutori di Gesù, a ben vedere è sempre attuale: è sempre in agguato la tentazione di interpretare la pratica religiosa come fonte di privilegi o di sicurezze.